MILANO, 16 OTTOBRE 2022
Siamo nella Basilica di Sant’Eustorgio in Milano per onorare il Giubileo d’Oro del RnS.
Secondo un’antica tradizione ancora oggi, da qui, comincia la processione con la quale ogni nuovo arcivescovo di Milano entra in città e prende possesso della Chiesa affidatagli dallo Spirito Santo.
Dunque, quello che ci ospita è un luogo originante; che origina un servizio ecclesiale. Pertanto, è per noi un luogo ideale per originare un nuovo impegno sociale dei laici cristiani, dei laici cristiani e carismatici che noi vogliamo qui rappresentare, perché sia ancora e di più profezia di un nuovo impegno, di un nuovo distintivo impegno: quello richiestoci da Papa Francesco, per la salvezza di un mondo che ci sta crollando addosso in un’indifferenza, in un silenzio, in un disimpegno che davvero inquietano, che offendono la nostra fede nel Vangelo e che certo rattristano lo Spirito Santo di Dio che ci è stato dato per stare al mondo come si conviene a dei veri credenti.
Di questo vogliamo parlare, senza mezze misure, accettando la provocazione di un Magistero sociale, quello di Papa Francesco, che ci sfida oltre modo, che attende esiti comunionali e collaborativi nuovi, per i quali ancora poco stiamo facendo.
Oggi onoriamo il nostro Giubileo d’Oro con una pagina di “Cultura della Pentecoste”. La Cultura della Pentecoste, immaginata da san Paolo VI e consegnata da San Giovanni Paolo II al RnS, in fondo è proprio questo: rispondere carismaticamente, con fiducia nell’azione potente, dirimente, risolutiva dello Spirito, alle grandi sfide culturali e sociali del nostro tempo, perché sia ancora il Vangelo di Gesù Cristo il più potente agente di trasformazione, di progresso, di civiltà, di benessere sociale per i popoli e per le genti.
Crediamo noi in tutto questo? Crediamo che proprio a noi è chiesto di uscire fuori dal coro dei muti e “riprendere la parola” per dare corso a una nuova evangelizzazione sociale che abbia a tema l’uomo, l’umano, l’umanesimo cristiano nel pieno e demoniaco post umanesimo e transumanesimo nel quale siamo immersi?
Crediamo noi che occorra vincere l’omologazione del pensiero antropologico unico che sta corrompendo la fede, che la sta rendendo insignificante nel cuore delle nuove generazioni, a partire dai nostri stessi figli, così che si possa tornare a pensare da cristiani e tornare a ripensare la nostra identità cristiana dentro lo spazio crocifiggente delle tante, troppe povertà e infermità che la mancanza di vita nuova nello Spirito stanno producendo?
Ci lamentiamo tanto dell’insignificanza dei partiti e dei corpi intermedi in politica e nella società, ma pochi lamentano che la vera tragedia è l’insignificanza della fede nel cuore degli uomini e delle donne che poi stanno nei partiti e nei corpi intermedi, come in famiglia o in società.
Se queste premesse sono chiare, allora noi stiamo oggi nel luogo giusto per onorare degnamente i nostri 50 anni di storia e per riaffermare il bisogno di una “Cultura della Pentecoste” nel tempo della crisi di fede, di pensiero e di vita che attraversano ogni area della nostra vita associata, anche delle nostre chiese, anche dei nostri gruppi e comunità.
Abbiamo voluto Milano perchè questa città, questa Regione non sono state meno rilevanti di Roma per le origini e lo sviluppo del RnS.
In questa Basilica non possiamo non ricordare don Pigi Perini, tra i primi sacerdoti del RnS; p. Raniero Cantalamessa, che in questa città visse la sua “conversione” al RnS; p. Tommaso Beck, tra i primi e più importanti teologi del RnS, che ebbe grande influenza sul card. Carlo Maria Martini, anch’egli tra i primi sostenitori del RnS alle origini della nostra storia ecclesiale. E poi Angelo Venturini, in assoluto tra i primissimi laici responsabili nazionali del Movimento Carismatico in Italia. Mi fermo, l’elenco dovrebbe includere alcune sorelle, religiose come Sr. Maria Francesca Cavallo e Sr. Ancilla Beretta, e continuare a lungo con animo benedicente per tanti testimoni.
Ma certo, e pensiamo a Brescia, mi volgo grato al mio predecessore nel massimo ruolo di responsabilità in seno al RnS, uno straordinario padre che fu anche mio direttore spirituale negli anni in cui vivevo in questa Regione come studente universitario: mons. Dino Foglio.
La città di Milano è stata anche causa di profezia nel mondo della comunicazione e della cooperazione con la preziosissima esperienza di volontariato sociale rappresentata da Voce Più, a servizio della Parola di Dio. Sentiremo la testimonianza dell’iniziatore e Presidente di questa primissima cooperativa in seno al RnS, Alvise Pecori Giraldi, oggi novantenne.
*****
Martedì scorso, 11 ottobre, in Basilica di San Pietro, ricordando i 60 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, il Santo Padre ha posto una domanda fondamentale: siamo disposti ad amare la Chiesa con “un amore pazzo per Gesù”?
Ero in Basilica e sorridevo ascoltando il Papa. Noi, per fare ricorso ai carismi ordinari e straordinari suscitati dallo Spirito, per l’edificazione e per il rinnovamento della Chiesa, siamo stati definiti per anni “pazzi”, “strani”, “svita lampadine” e altre simili cose.
Un amore pazzo per Gesù e per tutti i fratelli, affermava Papa Francesco, non meno di ciò che già asseriva an Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Ineunte (n. 33): esperimentare l“invaghimento del cuore” quando si parla della Chiesa e della fede.
Come sono belle le espressioni sulla Chiesa annotate da san Paolo VI nel Suo Diario: “La Chiesa: da amare, servire, sopportare, edificare con tutto il talento, con dedizione, con inesauribile pazienza e umiltà: ecco ciò che resta sempre da fare, cominciando, ricominciando”.
Bisogna amarla così, la Chiesa: facendola amare, cominciando e ricominciando sempre, tornando sui nostri fallimenti d’amore, le nostre trascuratezze, i nostri ritardi, le nostre omissioni.
“Avvicinatevi ai poveri. Siate a servizio dell’uomo, dell’uomo che soffre, dei poveri, degli ultimi”.
È il mandato ecclesiale consegnatoci da Papa Francesco, allo Stadio Olimpico nel 2014 e in Piazza San Pietro nel 2015. E il Papa non si stanca di ripetercelo, perché nel dire “eccomi”, noi possiamo dare corso a una nuova stagione di evangelizzazione carismatica del sociale.
Ieri, ero in Piazza San Pietro per onorare don Giussani e “Comunione e Liberazione”: il Papa è stato chiaro nel chiedere un impegno carismatico sul tema della pace. Uno straordinario impegno, che non esime nessuno.
Ma come potrà mai esserci pace sociale, pace tra le generazioni, pace tra le religioni se non sapremo abitare da cristiani e carismatici le povertà, le sofferenze, le “ultimanze” che ci assediano il cuore?
Non basta pregare e accogliere. Per grazia, siamo assai bravi nel farlo e nel farlo fare. E crediamo fermamente che nulla può davvero iniziare senza la forza della preghiera e niente potrà mai risolversi senza che Dio ci sorprenda con i suoi miracoli, quelli che la fede pregata può ottenere
Ma non basta la fede pregata. Occorre servire chi soffre e muore. E farlo in modo nuovo, perché nuova è la scena del mondo e noi, ci piaccia o no, siamo in pieno cambiamento d’epoca. Noi per primi siamo cambiati e purtroppo non in meglio.
Cosa vuole dirci Papa Francesco con il suo appello a farci servitori dell’uomo? E perché lo dice proprio a noi? L’interpretazione più autentica sta nel Vangelo.
Per Gesù, servire significa dare la vita. Non dare il nostro tempo, non dare i nostri spazi, non dare i nostri mezzi. No, significa dare la vita!
Se servire è voce del verbo amare, noi non possiamo essere sordi alle dichiarazioni veritative della nostra fede pronunciate da Gesù:
“Sono venuto perché abbiamo la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).
“Nessuno ha amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13).
“È lo Spirito che dà la vita, la carne non serve a nulla” (Gv 6, 63).
Vorrei tradurre questi tre assunti in modo diretto e programmatico.
La nostra fede, la fede nei carismi, deve generare una laicità cristiana che non alieni, che generi un corpo fraterno, sociale, umano e divino insieme: è la Chiesa, di più, il nostro essere come RnS espressione della Chiesa nel mondo.
La nostra identità cristiana è “segnata e significata”, terribilmente segnata e significata dall’offerta della vita di Dio per la salvezza del mondo, identità che vive o muore nella misura in cui anche io, anche tu, ci incarniamo e stiamo al mondo alla maniera di Gesù.
Nessuno si faccia illusioni: la nostra fede nel Dio amore, nel Dio tutto misericordioso, non potrà essere cancellata dalla storia, perché Dio – direbbe Romano Guardini – “resisterebbe ancora nei cuori”.
Ora, per rifare il tessuto cristiano della società a noi laici cristiani è chiesto, senza deroghe, di saper superare la frattura tra “Vangelo e vita”.
A tal proposito, il Concilio Vaticano II ha affermato: «Il distacco che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo» (in Gaudium et Spes, n. 43).
“Avvicinatevi ai poveri”, significa allora: la misura del distacco esistente tra la fede che professi e la vita che vivi è equivalente alla distanza che esiste tra te e gli ultimi che incontri o che, peggio ancora, stai rendendo ancora più ultimi.
È incredibile assistere alla domanda di molti cristiani del nostro tempo che si chiedono: “Ma cosa c’entra la fede con la mia vita pubblica, con i miei princìpi morali, con le mie scelte familiari, con i miei orientamenti politici?”.
Vorrei che a rispondere fosse quel grande genio del Novecento che è stato san Paolo VI, che patì i travagli di un’epoca consumandosi nella fatica di trovare adesione convinta alla sua lettura della storia. Nella Enciclica sulla “Evangelizzazione nel mondo contemporaneo”, Evangelii Nuntiandi, alla quale Papa Francesco si è completamente ispirato nella scrittura di Evangelii Gaudium, Paolo VI scriveva:
«È indispensabile raggiungere e quasi sconvolgere, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno di salvezza» (n. 19).
Ciò significa che non c’è laicità cristiana senza una fede umilmente confessata, vitalmente praticata, permanentemente perseguitata. La fede deve suscitare profonde convinzioni con un contenuto pratico immediato, un bene di tutti, per tutti, che abbracci tutto l’uomo, che includa tutti gli uomini: ecco il bene comune.
Attenzione: tra i credenti, soprattutto tra i credenti, si sta conclamando una enorme “questione morale”: un Vangelo senza amore; una vita senza frutti d’amore; un culto senza opere d’amore; una preghiera senza servizio.
E a canonizzarla è arrivata la pandemia, la tragedia della pandemia, per cui sono io che ora ho bisogno di aiuto, di misericordia, di giustizia, per cui più che il “dare” a me oggi si addice “il ricevere”.
È questione morale “solo ricevere” e “non dare”.
È questione morale spegnere l’amore nel cuore dei fratelli per paura, pigrizia, conflitto.
È questione morale stare a guardare se abbiamo ricevuto i carismi per lavorare nel Regno di Dio.
È questione morale rinviare il bene da compiere.
È questione morale lasciarsi prendere dalle chiacchiere, dai sentiti dire, dalle calunnie, per coprire la propria avarizia, la propria avidità, anche spirituale.
Una cosa è certa: la fede senza carità rende egoisti.
La fede senza servizio isola, fa degli uomini, anche di un gruppo di fedeli, delle persone tristi, che non contagiano gioia, che non attraggono nessuno.
Oggi si socializza poco, perché si ama poco.
L’autore della Lettera agli Ebrei scrive: «Perseverate nell’amore per i fratelli; non trascurate l’amore per i forestieri» (cf Eb 13, 1-2). Altrimenti Dio, l’Altro da me, l’Altro che si fa sempre prossimo, diventa un “altrove”, un luogo sconosciuto, impervio e troppo faticoso da abbracciare.
Il bene comune nasce dalla capacità nostra di rendere socialmente visibile il contenuto morale della nostra fede. Finché non sapremo rimpatriare questa verità, noi continueremo a fare avanzare la peggiore dittatura possibile, quella del “relativismo etico” denunciata da Papa Benedetto XVI lungo tutto il suo Pontificato.
Lamenta Papa Francesco: «Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione» (in Laudato si’. Sulla cura della casa comune, 202).
Potrà mai un’identità cristiana mondanizzata, relativizzata, perbenizzata, generare il “bene comune”, così come esige la Tradizione cristiana dei martiri e dei santi che ci hanno preceduto?
Dal suo esilio londinese, nel giugno 1938, giudicando le rivoluzioni che la storia coeva aveva drammaticamente registrato (la socialista, la nazi-fascista, la messicana), così il servo di Dio don Luigi Sturzo si esprimeva:
«Per noi, la prima, vera, unica rivoluzione fu quella del cristianesimo. Cristo portò in terra un Vangelo che ripudia qualsiasi pervertimento e oppressione umana, qualsiasi predomino del mondo sullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. Il nostro mondo è un mondo che deve essere creato a nuovo con fiducia nel pensiero cristiano, il quale è sempre vivo e sempre potente per le trasformazioni» (in The preservation of the Faith).
In fondo, è tutta qui la vera rivoluzione che Francesco invoca! A condizione che la si faccia insieme, con un’alleanza nuova, sincera e profonda, di laici cristiani associati e non, in capo a progetti; non più nei tavoli interassociativi, ma tra la gente, andando insieme e servendo insieme.
In occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, Papa Francesco è stato chiaro nel dare nuovo senso e slancio alla “laicità cristiana”: «Non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile… Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà» (Firenze, 10 novembre 2015).
Ecco cosa occorre fare o continuare a fare.
Carissimi, lo Spirito è al lavoro, che lo sappiamo o no, che lo crediamo a no.
Lo Spirito ci apre alla solidarietà con il mondo e nessuna inquietudine del mondo potrà mai veramente essere guarita dall’economia o dalla politica se, economia e politica, non avranno nell’amore, nella carità, nella misericordia il vero “vincolo sociale”.
«Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2 Cor 3, 17), ricorda l’Apostolo Paolo.
Libertà di servire, di costruire, di fare e rifare, non di stare a guardare, di rinviare, di delegare: tutte le deleghe sono scadute; tutte le aperture di credito sono finite; tutte le rendite di posizione si sono esaurite.
La bella notizia è che Dio non si pone contro questo mondo ingrato da lui creato: lo vuole pieno di quello Spirito con il quale tutto è venuto alla vita e rimane in vita e ci tiene in vita.
Come dimenticare una splendida definizione del Cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, a proposito della nostra Europa, dunque dell’Italia e del mondo nel tempo della crisi:
«L’Europa che sogno è un’Europa riconciliata e capace di riconciliare; un’Europa dello spirito, edificata su solidi princìpi morali e, per questo, in grado di offrire a tutti e a ciascuno spazi autentici di libertà, di solidarietà, di giustizia e di pace; un’Europa che viva gioiosamente (non noiosamente) e generosamente la sua missione. E qui, nel mio sogno lo sguardo va oltre e si allarga al mondo intero: vorrei tanto che esso, grazie alla responsabilità di noi europei, fosse più umano e abitabile, più in sintonia con il progetto di Dio» (in Sogno un’Europa dello spirito, 1999, p. 279).
Io voglio ancora sognare così. Io voglio ancora vedere e impegnarmi perché possa vedere il mondo con uno sguardo trasfigurato dall’amore, come lo sguardo di Dio, come lo sguardo che Dio assicura a chi – direbbe Santa Teresa di Calcutta – “sogna ad occhi aperti perché ama!”.
E vorrei che facessimo sognare, anche per noi, i giovani.
Un ultimo pensiero, da Presidente del RnS che sta per lasciare l’incarico, voglio proprio che sia indirizzato a loro. Incontrando i giovani convenuti ad Assisi per “Economy of Francesco”, il Papa li ha messi in guardia: serve profezia, occorre essere profeti-servitori di un mondo nuovo!
Ricorda il Papa: “Le comunità sono sempre più fragili e frammentate; la famiglia soffre una grave crisi; le solitudini sono un grande affare del nostro tempo; bisogna tornare a procreare considerando l’inverno demografico nel quale stiamo; il nostro capitalismo è spiritualmente insostenibile”.
In definitiva, serve una visione nuova dell’ambiente, della terra, delle relazioni, della pace.
Siamo disposti a lasciarci prendere per mano dai giovani?
E a non lasciare loro la mano, perché hanno bisogno di essere accompagnati da noi padri, permettendo che siano loro i primi “agenti di risurrezione” del nostro mondo?
Il Papa chiede loro di operare non solo una discontinuità culturale e dunque ideale, ma generazionale e dunque attoriale, di protagonismo, di soggettività dei giovani. Dobbiamo permettere che ciò avvenga davvero!
In questa direzione ci siamo già adoperati con il Progetto “LAB.ORA – Mille giovani per una leadership di servizio” e con diverse iniziative nazionali e internazionali volte a creare un vero e radicale cambiamento, anche collaborando con Istituzioni accademiche e culturali di altre tradizioni cristiane e religiose.
Senza ipocrisia, senza gelosia, senza pensare che vengano a toglierci spazio, generiamo un nuovo protagonismo dei giovani.
Hanno una libertà interiore e un’ansia di futuro che gli adulti hanno perso nel turbinio vorticoso dei giorni.
E soprattutto sanno cercare vie nuove di pace, perché non sono reduci delle nostre guerre, né complici dei nostri errori.
Non confiniamoli nel limbo di un’attesa imbarazzante, per cui, quando ci decidiamo a dare loro responsabilità, o se ne sono andati o non sono più giovani.
Mettiamoli nelle condizioni di servire e ispiriamo il loro protagonismo.
Vorrei concludere con un’immagine, come ci viene raccontata dall’evangelista Giovanni: Gesù che incontra Nicodemo (in Gv 3, 1-21). È l’umiltà della natura umana (Nicodemo) che incontra la potenza della natura divina (Gesù). Nicodemo, un anziano rabbino, incontra Gesù, un giovane rabbino, convinto che dietro quella potente parola accreditata da segni e miracoli si nasconda qualcosa di più di un semplice maestro, seppur molto giovane come Gesù.
“Cosa devo fare?”, chiederà Nicodemo a Gesù. Nicodemo è deciso a mandare in crisi le sue certezze. Invoca una nuova vita. E Gesù non lo delude. “Fai la verità e così rinascerai…,” “perché quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è Spirito” (Gv 3, 6).
Il miracolo di una vita nuova, di una politica nuova, di una Chiesa rinnovata dallo Spirito non risiede nelle nostre forze umane, ma nella forza carismatica dello Spirito Santo, perché appaia chiaramente che è opera sua, proprio attraverso le nostre debolezze e infermità.
“Avviciniamoci ai poveri, ai sofferenti, agli ultimi”. Allora, ciò che nascerà sarà generato dallo Spirito, non dalla nostra carne. Vedremo ancora la gloria di Dio, faremo dell’uomo “la gloria vivente di Dio”.
Altri Articoli
Ritiro Sacerdotale RnS Assisi 2023
È in corso di svolgimento l’annuale Ritiro per Sacerdoti, Diaconi e Religiosi, organizzato dal Rinnovamento nello Spirito Santo in Assisi.
Udienza e Discorso di Papa Francesco
Dopo 4 anni dall’ultima Udienza (era la vigilia di Pentecoste del 2019), il 𝐒𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐏𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 ha voluto incontrare i partecipanti all’Incontro promosso da CHARIS
Halloween
Halloween, tradotto, sta per: “Notte di tutti i Santi”. E dove sono i santi? Nei bambini travestiti a impersonare le tenebre e non la luce?