Guerra in Ucraina: come stanno veramente le cose?

20 APRILE, 2022

Una delle poche, pochissime evidenze che sembrano profilarsi in questa guerra (non dichiarata), che tanto più ci colpisce, perché la sentiamo particolarmente vicina, è che forze potenti mirano a farla durare.
Ovvero mirano a dispiegare un centro di ostilità a media intensità di durata indefinita. Un conflitto questa volta più largo di quello che dura da otto anni nel Donbass, dispiegato al centro dell’Europa: perché non dobbiamo dimenticare che l’Europa si estende “dall’Atlantico agli Urali”. E ha il suo centro geografico proprio tra Lituania, Ucraina e Bielorussia.
La geografia necessariamente richiama e interroga la storia, la politica e la forza armata. E formula un interrogativo angoscioso: cosa fare di questa terra al centro dell’Europa: un ponte, una palude, un muro, una fossa comune? O cos’altro?
Articolare una risposta univoca oggi non è possibile: troppo inspiegabile questa anacronistica guerra, se non con una logica della forza bruta e dell’aggressione, che per fortuna non ha finora vinto, anzi sta perdendo. Ma se vogliamo dare un senso alla parola “pace” occorre che qualcuno sappia guardare oltre, oltre le macerie che richiamano quelle della seconda guerra mondiale, da Stalingrado a Berlino. Articolare, insomma, una risposta positiva.
La guerra incrudelisce. Buča, la città Ucraina teatro di orribili massacri, è la storia di una sconfitta militare della Russia, e dell’orrore contro la popolazione civile. Del resto, non esistono guerre chirurgiche, se non nelle illusioni o nelle propagande, che poi la storia, puntualmente, s’incarica di smentire. Gli orrori emersi in questi giorni, confutano, se mai ce ne fosse bisogno, la solenne affermazione: “Mai più!”.
D’altra parte, dopo la fine della guerra fredda, la “terza guerra mondiale a pezzi” (Papa Francesco) lo ha già mostrato in tanti quadranti a noi lontani, dall’Afghanistan all’Iraq, alla Siria, allo Yemen, per non parlare della prima e della seconda guerra mondiale africana, ma anche in contesti più vicini, come gli stati dell’ex-Jugoslavia.
Certo ci sentiamo emotivamente coinvolti, ma non ci troviamo in guerra: eravamo assai più direttamente coinvolti come Nato in Kosovo. In realtà questa guerra – che dal punto di vista formale non è una guerra dichiarata, cosa ancora più lunare – sta cambiando un po’ tutti gli interlocutori, gli Stati più o meno coinvolti. E qui forse c’è quello che in questo momento è ora il punto politico-strategico che più ci tocca, ovvero la durata del conflitto.
La guerra, da sempre, ha la capacità di auto-alimentarsi, oltre che di allargarsi. Il “partito della guerra” nasce dalle paci mal costruite, dagli armistizi precari, attizza il conflitto, lo allarga e lo incista. La storia della guerra in corso ne illustra tutti i passaggi. Manca il passaggio dell’allargamento, che va scongiurato ad ogni costo e si profila l’incistamento.
Una palude bellica a media intensità avrebbe il vantaggio di tenere impegnata e sfiancare la Russia e sarebbe di fatto finanziata dall’Unione Europea. L’Ucraina rischia di diventare una “proksi-voyna”, cioè, in russo, una “guerra per procura”.
Per questo motivo occorre avere la capacità di guardare avanti, che poi è l’essenza della (buona) politica. E, dunque, percorrere la strada della pace, che è poi la posizione della grande maggioranza dell’opinione pubblica italiana. Una posizione che ha come punto di riferimento papa Francesco, non certo per clericalismo, ma per realismo. Non il pacifismo delle anime belle, ma un indirizzo politico, libero e forte.
Affinchè l’Ucraina, terra posta al centro geografico dell’Europa sia un ponte e un luogo di libertà e di democrazia, occorre necessariamente fantasia istituzionale e l’intervento delle due parti di Europa geografica, quella unita nell’Unione Europea e la Russia. Oltre che evidentemente degli altri attori collegati, come i membri dell’Alleanza Atlantica, Stati Uniti e Canada, ma anche la Turchia, componente della Nato, ma che non segue la politica delle sanzioni, per non dire delle altre potenze mondiali, che non possono disinteressarsi ad una delle stesse, ovvero la Russia.
In questo scenario e in questa direzione occorre dare gambe, braccia, intelligenze e operosità alla prospettiva che unico, pare, tra gli attori mondiali, papa Francesco indica. Si rilegga, a questo proposito, il suo primo discorso a Malta, in occasione del recentissimo Viaggio apostolico (2-3 aprile u.s.), con l’immagine della “rosa dei venti”: vale per il più piccolo degli Stati dell’Unione Europea, ma anche per l’Italia e tutta l’Unione.
La strada dell’Unione Europea non può che essere quella di guardare ad un assetto futuro e stabile del suo confine orientale, che non può non contemplare un rapporto con la Russia. Occorre, mentre si sostiene la difesa ucraina, avere delle idee per il futuro.
L’Unione, che è nata proprio per superare il conflitto tra Francia e Germania, che aveva prodotto tre guerre, di cui due mondiali, ha nella sua identità la possibilità di disegnare strade adeguate. Ne va del suo stesso futuro. Anche perché il confine sud dell’Unione non gode certo di buona salute: basta guardare alla sponda sud-est del Mediterraneo, con la tendenza all’ottomanizzazione, e nel mondo globale questo conflitto certamente rimpicciolisce ulteriormente l’Unione Europea nel suo complesso e i singoli stati in particolare.
In questo senso decisivo è il rapporto con gli Stati Uniti, che hanno tutto l’interesse, in un mondo che non li ha unanimemente seguiti nella proposta di sanzioni, ad un rapporto ben articolato con l’Unione Europea, che non è quello che la propaganda russa descrive, un “satellite” dell’asse anglo-americano.
Certo per tutto questo serve del tempo, così come per la transizione energetica. Ma senza la capacità di guardare avanti ci troveremo tutti impoveriti e incattiviti, oltre che impantanati in una guerra già troppo lunga.
È un decennio che la democrazia regredisce nel mondo, proprio quando qualcuno aveva pensato di “esportarla”: con l’intervento militare, come in Afghanistan o con il famoso “regime change”, come nelle cosiddette “primavere arabe”. La fine a Kabul, lo scorso agosto, delle politiche di esportazione della democrazia forse hanno motivato l’aggressione del 24 febbraio u.s. all’Ucraina. Ma il necessario sostegno alla stessa Ucraina aggredita deve essere accompagnato da una prospettiva politica, ideale e morale.
La democrazia non si può esportare, ma si deve costruire. Fa bene alle persone e ai gruppi sociali, ma è un equilibrio molto delicato, che non gode oggi di splendida salute, ma può e deve essere sviluppata. Una Fondazione Vaticana, la “Gravissiumum Educationis”, sorta all’interno della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ha prodotto qualche settimana fa materiali utilissimi sul tema. Le macerie si possono ricostruire solo se c‘è un progetto; sennò macerie richiamano altre macerie.

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