Le sette parole di Gesù sulla croce
15 APRILE, 2022

Prima parola di Gesù sulla croce
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»
(cf Mc 15,22-26.29-32a; Lc 23,34)

Per – dono. Cioè attraverso il dono. Il dono di un amore tanto vero, tanto unico, tanto lontano dalle categorie umane e religiose, da spingersi a dichiarare innocenti i colpevoli, i nemici, gli stessi uccisori. Quando l’amore sembra fallire, sembra finire, il perdono lo risuscita, il perdono lo mantiene in vita.

Il peccato, ci ha insegnato Gesù con la sua vita, tanto da finire in croce per la sua testimonianza fuori dalle righe, fuori dal buon senso, fuori dalle regole umane, deve meritare misericordia per essere vinto e trasformato nello spazio di un miracolo.

Sì, quando perdoniamo, sempre un miracolo accade: ciò che era morto ritorna in vita!

Gesù ci insegna che chi impara a perdonare non morirà mai. Di più regalerà vita agli uomini.

Chi perdona incarna la misericordia, e dunque la vesti di Cristo, ritesse le vesti strappate di Cristo.

Il perdono, come “un capo firmato”, è l’amore firmato di Cristo. Solo chi perdona non sarà giudicato colpevole, perché dichiarando innocente l’altro troverà misericordia.

Nella mia vita ho incontrato migliaia di persone che sono passate dalla morte alla vita facendo l’incontro con la misericordia all’opera nel perdono.

Perché questo accada bisogna fare esperienza personale della misericordia di Gesù, per rendersi conto che il più alto e profondo atto d’amore che si possa dare, proprio perché se ne è fatta esperienza, è quello di perdonare.

Solo chi si sente amato, riesce a perdonare.

Chi fa i conti con i propri peccati e sente su di sé la misericordia del Signore che non lo giudica, che non lo condanna, che lo assolve, allora più facilmente si aprirà all’altro, sarà disposto a fare comunione con lui, a non rompere la comunione quando entra in scena l’errore, un fatto che ferisce, il tradimento.

Quanto bisogno di perdono hanno le nostre società, le nostre famiglie, le nostre parrocchie.

Quanto bisogno hanno non di denunciare il male per il male, ma di mettere in atto il bene che manca tra tanto male.

Perdonare non ci rende vulnerabili, ma forti. Non ci rende complici del male o peggio indifferenti verso chi ha una colpa.

Chi non perdona resta prigioniero del male subito. Rimane inchiodato alla croce. Può solo morire. Chi ama vince la morte. Chi ama permette il futuro, per sé e per gli altri.

Seconda parola di Gesù sulla croce
«Oggi sarai con me in Paradiso»
(cf Mc 15,27; Lc 23,39-43).
Sulla croce un moribondo, un ladrone, prega Gesù. Lo prega da vivo, ma pensa alla sua morte. E chiede che la morte non sia l’ultima parola.

Ed ecco che si apre uno squarcio di Paradiso: «Oggi sarai con me in Paradiso».

Dunque, come accade ogni qual volta noi preghiamo, la domanda è terrestre, la risposta è celeste!

Il malfattore convertito a Gesù, pregando Gesù, sospeso tra cielo e terra, ci ricorda che la morte non è la parola finale della nostra esistenza terrena; che c’è un “cielo” in cui è possibile “entrare” e nessuna chiave d’acceso è più potente della preghiera.

Quella del buon ladrone è la più straordinaria professione di fede che i Vangeli ci raccontino, la più sofferta, la più intima.

Questo ladrone formula la migliore “preghiera pasquale” che ci possa capitare di udire.

Un monito per la nostra umanità, sempre più abituata all’inferno di questo mondo e sempre meno attratta dalla gioia del Paradiso. Questa professione di fede – «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno» – che parte dal cuore di un uomo, dice che ogni cuore umano è fatto per la Pasqua, non per la morte; per la gloria, non per la sconfitta.

È tutto qui il potere della preghiera come potente strumento di misericordia spirituale.

“Oggi” dice Gesù. La preghiera guarisce i nostri “ieri” e ci apre al nostro “domani”. La preghiera è sempre l’oggi di Dio.

“Oggi”, perché la risurrezione è il tempo presente di Dio.

Il cielo sopra di noi non è oscuro. E soprattutto non è chiuso. Dobbiamo avere fede.

Per i miracoli non serve la scienza, né la tecnica, né la sapienza umana. Serve la fede nella preghiera per i vivi e per i morti.

Chi non prega è a rischio di infarto spirituale e di morte.

O credenti o quasi credenti. O credenti o miscredenti. O credenti o creduloni.

Terza parola di Gesù sulla croce
«Donna ecco tuo figlio. Figlio ecco tua madre»
(cf Gv 19,25-27)

Gesù è venuto a riunire l’intera famiglia umana sotto il regime dell’amore. È venuto per chiamarci fratelli in quanto figli. Siamo figli di Dio veramente.

Lo stesso sangue di Gesù scorre nelle nostre vene. La stessa natura divina, per mezzo del dono dello Spirito Santo che è in noi, abita il nostro stesso corpo.

Abbiamo due nature: umana e divina. E siamo incorporati in una duplice famiglia: umana e divina.

Ecco che nelle parole di Gesù «Donna ecco tuo figlio. Figlio ecco tua madre», le due nature si palesano.

Gesù ci dice che la sua famiglia è la nostra; e che la nostra famiglia è la Sua.

C’è una famiglia in Cielo (la Trinità); è c’è una famiglia sulla terra (la Chiesa).

Ci sono fratelli in Cielo (i salvati, i santi quelli che sono morti nella speranza di vedere Cristo, come quel buon ladrone) e ci sono i fratelli sulla terra, tutti gli uomini, senza distinzioni di razza, di ceto, di culture e religioni.

Dio non vuole che la famiglia umana muoia. Dio vuole che la famiglia torni ad essere il luogo in cui ci si supporta perché ci si sopporta, cioè si portano insieme i tempi, le stagioni della vita.

Ecco perché Gesù ci parla di figli e di madre.

“Ecco tua madre”. Dove sono le madri? I figli non hanno più madri.

Una certa sociologia vuole le madri alla stregua dei figli, come delle improbabili sorelle, annullando ruoli, età, responsabilità. Quanto è molesta questa sociologia che rende le madri insignificanti agli occhi dei figli!

“Ecco Tuo figlio”. Dove sono i figli? Si vuole manipolare la vita, mercificare la vita, darle un valore scientifico non divino, utilitaristico non umano.

Madri travestiti da padri. Figli generati a pagamento su cataloghi. Famiglie che si vogliono “allargate”, ma a cosa, ad un amore non generato e generante, frutto solo di egoismo spacciato per diritto, diritto contro natura spacciato per rispetto dei diritti umani?

Queste molestie sono violenza spirituale insopportabile.

Dobbiamo lasciare stampare allo Spirito Santo un comando divino nel nostro cuore: «Non abbiate alcun debito verso nessuno all’infuori di un amore vicendevole» (Rm 13,8). E ancora, lo stesso Apostolo: «Sopportandovi a vicenda nell’amore» (cf Ef 4, 1-3).

Quarta parola di Gesù sulla croce
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(cf Mc 15, 33-36)

È il grido dell’uomo che non vuole rimanere solo, che non vuole arrendersi, anche quando non trova qualcuno che lo salvi.

Gesù sulla croce mette a nudo la verità sull’uomo: chi rimane solo, chi rimane crocifisso nella sua solitudine, perde se stesso e perde Dio. L’uomo non può vivere nel più terribile dei dubbi: quale è la volontà di Dio e che vita buona, piena, giusta, felice può mai essere una vita abbandonata, senza Dio, senza trascendenza, senza speranza eterna?

Quanti squarci di solitudine Dio deve consolare, confortare, guarire, riempire. Sì, perché in molti casi non è Dio ad essere assente, ma sono gli uomini ad averlo allontanato, ad averso reso impotente, escluso dalla storia, in nome della libertà umana.

Quante sofferenze genera il dubbio che Dio ci abbia abbandonato, specie quando i morsi della malattia si accaniscono su di noi, come su Gesù in croce.

Eppure la Sacra Scrittura dice: «Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore» (Is 54, 7).

Attenzione, sono abbandonati i nostri figli quando si inventano la vita dietro allo schermo di un computer, piuttosto che davanti ad una pagina di Vangelo spiegata e pregata da un genitore.

Sono abbandonati i nostri anziani quando non c’è spazio per la loro benefica memoria del passato, presto archiviata per dare spazio ai vizi contemporanei in luogo delle virtù antiche.

Sono abbandonati coloro che rimangono soli nelle periferie esistenziali della non conoscenza di Dio non evangelizzata, della sofferenza non evangelizzata.

«Non vi lascio soli» è la promessa di Gesù. «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Per sempre.

Gesù ha bisogno di noi per perpetrare la sua compassione per l’uomo solo, deluso, dubbioso, in punto di morire.

Quinta parola di Gesù sulla croce
«Ho sete»
(cf Gv 19, 28-29)

Gesù ha sete. Sete dell’uomo. Non si stanca di cercarci.

Gesù continua a cercare l’uomo che vive nel peccato.

Gesù ha sete di una nuova umanità, dell’uomo nuovo finalmente vincitore della morte, del peccato, del maligno.

Gesù ha sete di vita eterna per l’uomo. Solo quando percepiamo la profondità e l’intensità di questo mistero ci rendiamo conto della necessità e dell’urgenza di amarlo. Solo così possiamo capire “come” lui ci ha amati.

Perché, in realtà, anche l’uomo ha sete. Ha sete di verità, di giustizia, di pace, di bellezza, di bontà. L’uomo, anche il più lontano, il più ostinato peccatore, in fondo ha sete di Dio.

«Se qualcuno ha sete venga a me; chi crede in me fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo petto petto» (Gv 7, 37).
Purtroppo molta sete dell’uomo si disseta alle sorgenti sbagliate. E così cade nel peccato.

Ecco perché l’uomo placa la sete della pace facendo la guerra; la sete della bellezza sfruttando il proprio corpo e il corpo altrui; la sete della giustizia rifiutando l’immigrato o chiedendo la pena di morte per chi fa del male; la sete della carità servendosi dei poveri e dei piccoli che vengono sfruttati in nome del bene comune.

“Voglio amore! Ho sete d’amore”, grida Cristo! Andiamo e impariamo!

Quanti maestri di religione ci sono in giro per il mondo. Capaci di offrire dotti discorsi sull’amore, ma finché non ne parlano in termini di misericordia, non sanno quello che dicono, o non parlano nel nome di Gesù.

Il nostro mondo ha sete di verità, ha sete di salvezza.

Sesta parola di Gesù sulla croce
«Tutto è compiuto»
(cf Gv 19, 30)

La signoria di Gesù, la vittoria di Gesù sulla croce – cioè il “tutto è compiuto” – è fondata sul regime della verità. Non esiste compromesso tra verità e menzogna. Non c’è tregua tra luce e tenebre.

O si persevera nella verità, e allora si vive, o si cammina nella menzogna e allora si è già moribondi, in attesa della morte. Con Cristo o contro Cristo.

Il “tutto è compiuto” di Gesù, non fa mai conti con la fine, ma con un nuovo inizio, sempre con una nuova vita.

Il vero errore, la vera ignoranza che l’uomo commette nella propria vita è non sapere che ogni “compimento” ci riconduce al “concepimento”. Gesù è nato per non morire. E muore per dare la vita. Dunque, non c’è concepimento senza compimento. Quante vite concepite senza senso; quante vite compiute, finite, senza mai essere venute alla vera vita.

L’errore, dunque, è mancare la vita, fallire la vita.

Chi crede in Gesù vive, non si toglie la vita; vive e non morirà in eterno!

A vivere s’impara soffrendo, facendo spazio nel nostro cuore alla consolazione divina.

È lo Spirito Santo che ci insegna, dal di dentro, come “Maestro interiore”, che cosa significa vivere e vivere amando.

La vita la si trova donandola e non impossessandosene.

Settima parola di Gesù sulla croce
«Padre, nelle Tue mani consegno il mio spirito»
(cf Lc 23,44-46; Mc 15,39)

Nel primo grido sulla croce Gesù aveva detto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34; Mt 27, 46). Ora ancora Gesù si rivolge a Dio, ma lo chiama Padre.

L’ultima parola del Figlio di Dio è rivolta al Padre. La stessa vita che era nel Padre, come ci ricorda Giovanni nel suo Prologo al Vangelo (cf Gv 1, 1-4), prima di apparire in mezzo agli uomini, ora ritorna al Padre.

Padre: è il capolavoro tra le parole che gli umani possano pronunciare; eppure si vuole che diventi la più rara, la più contrastata tra gli uomini stessi.

“Padre”. Occorre dirlo per dare un nome, un volto, una storia a chi ti ha voluto al mondo.

Una delle maggiori afflizioni della nostra umanità è data proprio dall’eclissi delle paternità.

Quanto bisogno abbiamo di recuperare questa parola di misericordia – Padre – pronunziata da Gesù per l’umanità, sull’umanità, in un tempo in cui tutte le paternità sono in crisi, sono rigettanti, sono dubitative.

La crisi di leadership politica, di autorevolezza genitoriale, di responsabilità sociale sono tutte figlie della eclissi del Padre.

In quell’ora buia della storia, sulla croce, Gesù illumina il cielo con il grido della consolazione: “Abbà, Padre”.

La Passione di Gesù non si conclude con un «perché» rivolto a un Dio lontano, assente, ma con un atto di abbandono filiale: «Nelle tue mani consegno il mio spirito».

Dalla cattedra della Croce, Gesù ci insegna a sperare contro ogni speranza, a sentire che le mani di Dio sono più forti di qualsiasi mano potente degli uomini, più forti di ogni tentazione che possa sopraggiungere e abbattersi su di noi.

È tutta qui la potenza della consolazione divina. Il nostro spirito può riposare nel Suo Spirito.

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