Pasqua, pace tra cielo e terra

19 APRILE, 2023

FONTE: Rivista RnS

Si avvicina la Pasqua e i nostri cuori sono storditi dal frastuono delle cronache di morte. “Guerra sì, guerra no”.

L’umanità in queste ore sembra sempre più lacerata tra chi postula +la necessità di offendere per difendersi e prevenire il male* e chi ritiene invece che «rispondendo al male con il male non sia possibile ricavare un vero bene». Intanto la Chiesa, unita al suo Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, non cessa di sperare e con le mani alzate al cielo rinnova l’impegno a offrire preghiere, digiuni, penitenze per ottenere dal Padre, nel nome di Gesù, il dono della pace. Una riflessione alle sorgenti dell’evento pasquale che ci accingiamo a celebrare; una preparazione spirituale alla prossima XXVI Convocazione Nazionale di Rimini.

Solo a Dio spetta il giudizio

In questo mondo che vorticosamente cambia, ciò che non giova alla ricerca di un comune orizzonte di fraternità umana sono i giudizi morali, più o meno scontati o di parte. Il cristiano non è chiamato a giudicare secondo le convenzioni o le convenienze dettate da leggi umane: +Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi fai le medesime cose* (Rm 2, 1). I discepoli di Cristo ricordano con la loro vita che solo +il giudizio di Dio è secondo verità* (Rm 2, 2) e che “saremo giudicati” da Dio e condannati dalle nostre stesse azioni se non impareremo a “pensare secondo Dio” (cioè da “uomini spirituali”: cf 1 Cor 2, 14-16), se non cesseremo di peccare e non anteporremo a ogni legge umana la legge di Dio. +In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita* (Gv 5, 24). Afferma ancora san Paolo: +In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a Dio, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato. Ora, invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono* (cf Rm 3, 20-21).

Siamo disposti a comprendere i motivi più profondi della crisi di fede e di valori in atto, del disagio e dell’inquietudine sociale che finirà col produrre sempre più poveri, disadattati, ammalati, prigionieri e morti? Ciò accadrà se sapremo rispettare la “regola d’oro” che accomuna tutte le grandi tradizioni religiose: +ama il prossimo tuo come te stesso* (cf Dt 19, 18; Mt 5, 43). Questa è la sola legge divina che ha in sé la vera radice della pace, della concordia e della giustizia umana che l’uomo invano cerca di realizzare fuori dal pensiero di Dio. È necessaria la testimonianza coerente di uomini capaci di accogliere il mondo di oggi, con le sue gioie e le sue angosce, e di trasmettere una fede e una speranza trascendente, che proprio per questo resiste a tutte le smentite della vita, ad ogni guerra e ad ogni contesa che derivano sempre e soltanto dal fallimento dell’amore e dall’incapacità di perdonare i nemici. Diceva Dostoevskij: +Molti uomini non conoscono la pietà, conoscono solo la giustizia: per questo sono ingiusti. La vera giustizia è rigorosa, non rigida; è esigente, ma non implacabile; è severa, ma non odiosa*. Il libro della Sapienza, a tal riguardo, ci offre una nitida e inequivocabile “definizione” di Dio “sovrano e giudice”: +Tu detentore del potere, giudichi con moderazione e ci governi con indulgenza. Agendo così, insegnasti al tuo popolo che l’uomo giusto deve essere amante dell’uomo* (cf Sap 12, 18-19).

Essere “buoni” e operare il bene

Diamo la parola a due amici di Papa Paolo VI. Il primo, l’italiano – ateo – Prezzolini; il secondo, il filosofo cristiano Jacques Maritain, che partecipò alla chiusura del Vaticano II. Alla domanda di Paolo VI su come si potesse entrare in dialogo con i lontani, Prezzolini rispose: +Non c’è che un mezzo, santità. Gli uomini di Chiesa devono essere soprattutto buoni e mirare ad uno scopo soltanto: creare degli uomini buoni. Non c’è nulla che attiri come la bontà, perché di nulla noi increduli siamo tanto privi. Di gente intelligente è piena il mondo; quel che ci manca è la gente buona*. In perfetta sintonia, se necessario ancor più esplicito, il pensiero di Maritain: +Se un tempo bastavano cinque prove per l’esistenza di Dio è [cioè le “cinque vie” di san Tommaso d’Aquino; n.d.a.], oggi l’uomo le ritiene insufficienti e ne vuole una sesta, la più completa, la più autorevole: la vita di coloro che credono in Dio*. Del resto già il Concilio, con il documento riservato all’apostolato dei laici, così si esprimeva: +La testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede a Dio* (Apostolicam actuositatem, n. 6). Quanto mai provvidenziale per il futuro dell’umanità diviene così il rimando allo Spirito Santo e alla sua “azione soprannaturale”, la sola che permette agli uomini di diventare +creature nuove* (cf 2 Cor 5, 17), buone, capaci di azioni buone. Infatti, come ci ricorda san Paolo +la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio… Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio* (Rm 7, 14-19). La vita del cristiano, la sua testimonianza al mondo o è spirituale, cioè sottomessa alla +legge dello Spirito che libera dal peccato e dalla morte* (cf Rm 8, 2), o non renderà visibile nella storia l’evento della Pasqua e della Pentecoste.

Nella Pasqua la storia trova vero senso

Se la Pasqua segna la “liberazione dell’uomo da tutte le schiavitù di peccato e di morte”, la Pentecoste rappresenta la “liberazione nel cuore dell’uomo di tutte le energie spirituali capaci di combattere il male” che insidia il cuore dell’uomo e del mondo. O si regna con Cristo sulla terra, forti della vittoria di Cristo e del potere del suo Spirito – +non lasciandosi vincere dal male, ma vincendo il male con il bene* (cf Rm, 12, 21) – o il regno di satana imperverserà sempre più dolorosamente. La Pasqua, con la risurrezione di Gesù, ci spalanca le porte del cielo, di quel regno di giustizia e di pace, +la dimora di Dio, dove non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno* (cf Ap 21, 3-4). Da quando l’uomo ha smesso di credere al paradiso, ha trasformato la sua vita in qualcosa che somiglia all’inferno. L’inferno sulla terra è soprattutto assenza della Pasqua di Gesù, assenza come rifiuto dell’amore. È già inferno, infatti, vivere nell’incapacità di non dare amore e di non saper ricevere amore. Dirsi cristiani è cosa facile; farsi cristiani nel servizio generoso alla verità e all’attualità dei comandi d’amore di Dio è la grande sfida. Pasqua, in questo nostro tempo, significa saper dare un volto “risorto”, un volto d’amore ai comandamenti divini, che non sono una sequenza di imperativi negativi, ma una richiesta d’impegno, una chiamata a costruire la civiltà dell’amore. Così il non uccidere significa “tutela la vita”, ma sin dal grembo materno; il onora il padre e la madre diventa un appello a “difendere la famiglia naturale”; il non dire falsa testimonianza la celebrazione della verità e la difesa della dignità della persona umana. Chi insegnerà alle generazioni future l’arte di vivere, se noi per primi smettiamo di credere contro ogni speranza e di costruire mediante la speranza? Stiamo supinamente accettando che il regno del soggettivismo esasperato continui a produrre e a giustificare il moltiplicarsi di crudeltà e violenza. Sì, perché l’egoismo è scuola di crudeltà. Davvero singolare, poi, è questa nostra umanità che volta le spalle all’amore e poi piange perché le si spalanca davanti uno scenario di tristezza e di squallore.

La pace, una Persona che si dona

È sempre più urgente ricercare le ragioni decisive della riconciliazione e del perdono per suscitare la pace tra gli uomini, per creare una cultura di pace che annienti l’odio che si annida nel cuore dell’uomo. Gesù è il +Principe della pace* (cf Is 9, 6). Lasciamoci “disarmare dal suo amore” perché a nulla giova parlare di pace se nel nostro cuore ancora allignano il rancore, l’orgoglio, l’indifferenza. Gesù ci dice: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo… Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: …furti, omicidi… malvagità, inganno… superbia, stoltezza» (Mc 7, 14-15.21-23). Come cristiani, abbiamo sempre di fronte ai nostri occhi gli appelli del Cristo nel “discorso della montagna”: +Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori… Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste* (Mt 5, 44.46-48). La pace non è “qualcosa” che si desidera o si possiede, ma “Qualcuno”, Gesù, che ci desidera, ci possiede e si conserva a noi fedele consegnandosi come “shalom”, il segno pasquale della pace. +Vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi* (Gv 14, 27). Il mondo cerca soluzioni di pace e confida che uomini illuminati possano garantire la pace, ma niente di buono ci sarà mai concesso senza l’opera di Gesù, colui che +per mezzo della croce* (non di bandiere) +ha distrutto in se stesso l’inimicizia* (cf Ef 2, 16-17). Possa Gesù risorgere come vincitore sulla morte e liberatore di ogni male: il tempo corrente non può fare a meno del potere del suo nome. Lo invochiamo, allora, preparandoci alla Festa della Risurrezione; lo attendiamo, vivente e operante, in mezzo a noi a Rimini, per celebrarlo come l’unico Signore e Salvatore del mondo.

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