Quale bellezza salverà il mondo?

20 MAGGIO, 2022

L’amicizia e l’amore sono indissolubilmente correlati al tema della bellezza.
Ma qual è, dunque, l’estetica del mondo postmoderno tecnoliquido? Molti indicatori suggeriscono che la dimensione estetica prevalente, nella quale sembrerebbero crescere i nativi digitali, sia pervasa da tre elementi: il kitsch, il camp e il gusto horribilis
Nella seconda metà dell’Ottocento, quando i turisti americani volevano acquistare in Europa un quadro a poco prezzo, chiedevano uno sketch, uno schizzo. Da qui, secondo alcuni, sarebbe nato il termine kitsch, per indicare le esperienze estetiche di scarso valore, facili, celebrative, volte alla ricerca di un effetto rapido e appariscente.
Il kitsch è, in ultima analisi, una sorta di mass cult del bello, a tratti anche trash, volto a soddisfare narcisistici impulsi pseudo estetici. La dimensione narcisistica, propria del mondo tecnoliquido, sembra trovare ampia soddisfazione nella risposta estetica kitsch.
L’altro fenomeno estetico è quello del camp, che consiste nel trasformare il serio in frivolo, giocando sull’ambiguità, sull’esagerazione, sulla raffinata volgarità e sull’eccentrico. L’androgino è certo uno delle più significative immagini della sensibilità camp, che intercetta bene il bisogno di ambiguità della postmodernità liquida.
Inoltre, appare evidente come il mondo tecnoliquido sia anche attratto dalla bruttezza, dal gusto dell’orrido e del grottesco, nonché dall’estetica del cyberpunk, tutte manifestazioni di una nuova e celebrativa estetica della bruttezza, volta a soddisfare il bisogno di “emozioni forti” della società postmoderna tecnoliquida.
Il kitsch, il camp e il gusto dell’horribilis rappresentano le prevalenti dimensioni estetiche che soddisfano alcuni dei bisogni dell’uomo postmoderno: è in questo contesto estetico, narcisistico (kitsch), ambiguo (camp) ed emotivo (horribilis) che crescono i bambini e gli adolescenti immersi nella tecnoliquidità.
Nonostante tutto ciò l’esperienza estetica rimane comunque una manifestazione dell’essere umano e proprio grazie ad essa la bellezza potrebbe essere, insieme alla spiritualità, vettore del superamento del paradigma della tecnoliquidità.
Come è noto, Dostoevskij fa esclamare al protagonista dell’Idiota la famosa frase: «La bellezza salverà il mondo!» e noi potremmo con lui augurarci che essa possa salvare i nativi digitali.
Ma quale bellezza e soprattutto quale estetica? Quella kitsch, camp o quella horribilis sempre più diffuse nella tecnoliquidità?
La bellezza è da sempre di per sé un concetto complesso e problematico, nel romanzo i Fratelli Karamàzov, uno dei protagonisti, Dmitrij, non può fare a meno di osservare che la «bellezza è una cosa spaventosa e terribile, spaventosa perché non è definita…», ed e proprio qui, nella bellezza terribile e paurosa, misteriosa e indecifrabile, «che il diavolo combatte con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo».
L’estetica tecnoliquida esprime oggi, a pieno, il declino della bellezza, trasformata in spettacolo e consumata secondo modalità tecno cannibaliche, ridotta ad una esperienza autoreferenziale e ornamentale.
In realtà esperire il bello richiede risorse: risorse emotive, cognitive, simboliche e persino spirituali.
E allora quale bellezza salverà il mondo? A quale bellezza dobbiamo educare i nativi digitali?
Ciò che è importante recuperare, dinanzi al mutismo spettrale delle forme artistiche tecnoliquide, è la dimensione etica e al tempo stesso enigmatica della bellezza, sia di quella naturale che eli quella artistica. Le grottesche forme del kitsch, del camp e dell’horribilis possono essere superate dalla bellezza considerata come uno dei modi trascendentali in cui l’essere si esprime.
Il compito della proposta spetta ad adulti coraggiosi, che siano in grado di recuperare l’immenso patrimonio di bellezza che il creato e l’arte hanno prodotto nei secoli.
Ma soprattutto occorre ritrovare il coraggio di proporre alle generazioni digitali la “ricerca” della bellezza e di svelarne il tesoro simbolico, oltre che percettivo, in essa contenuto.
Se alla digital mind dei bambini e degli adolescenti sarà concesso di “esperire” il bello, allora essa potrà “vedere l’invisibile”, come è stato detto in modo efficace a proposito dell’opera di Kandisky e come potremmo dire noi a proposito di ogni autentica bellezza: cioè sarà possibile rimandare ad un “oltre” capace di restituire l’umanità ad ogni forma di digital mind.
Concluderei con una domanda: e se a salvare il mondo fosse la bellezza dello Spirito?”

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