Umanesimo, spazio d’amore

Il Presidente del RnS traccia un profilo del nostro tempo, proponendo una nuova sintesi tra umano e cristiano, tra naturale e soprannaturale, per un ritorno di Dio tra gli uomini. Una risposta spirituale alla crisi sociale che il mondo attraversa.

Quando Dio non c’è…
Le parole di un salmo di Davide, con le quali si descrive “un uomo senza Dio”, sono un veritiero ritratto del nostro tempo attraversato da una grave crisi spirituale. «Lo stolto pensa: “Dio non c’è”. Sono corrotti, fanno cose abominevoli, non c’è chi agisca bene. Il Signore dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio. Sono tutti traviati, tutti corrotti, non c’è chi agisca bene, neppure uno» (Sal 14, 1-2). Sono espressioni dure, che spingono a chiedersi: “Perché tutto va male e tutti sono giudicati colpevoli?” Perché non c’è Dio! Se si perde il senso di Dio tutto precipita, tutto va in rovina. Scriveva don Primo Mazzolari: «Se volete bene al popolo non potete togliere il Primo Bene. Senza Dio non si fa l’uomo» (“Discorso ai Deputati” in “L’Italia”, 1946). Di fatto, stiamo costruendo una società senza Dio, alternativa alla società cristiana che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità. E così accade che la tecnologia divenga il nuovo assoluto e la verità dell’uomo appartenga sempre più alla scienza: non c’è più spazio per la trascendenza e Dio sembra essere congedato dall’orizzonte umano. Le nuove generazioni più che incredule sono indifferenti: che Dio ci sia o non ci sia, nulla cambia. L’anelito al soprannaturale che è nel cuore di ogni uomo, la necessità di risposte ai bisogni più profondi dello spirito umano, trovano esiti fuori da una prospettiva religiosa dell’esistenza umana. Al meglio, pur di non stare dalla parte di Dio, si preferisce dirsi “neutrali”, all’insegna però di una “amoralità” che, incurante di distinguere il bene dal male, quando addirittura incapace di farlo, finisce con il canonizzare il male e rinunciare al bene e al bene comune. Il monito del profeta è ancora attuale e non risparmia nessuno: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is 5, 20). “Senza Dio non si fa l’uomo”. Senza Dio non si fa neanche la storia umana oppure la si fa dentro una babele di spiriti belligeranti e di ingiustizie derivanti dall’incapacità di riaffermare ciò che è bene e ciò che è male per il destino dell’uomo. Se si eclissa Dio si eclissa l’uomo; se si allenta la tensione verso l’ordine soprannaturale, la creazione cessa di essere riflesso del divino e l’uomo smette di essere la meraviglia del creato, portatore di un destino eterno. Se Dio viene negato a farne le spese è proprio l’uomo! Se Dio non è più creduto o avvertito come Creatore, come Padre, come Amante dell’uomo, perché vivere nella giustizia, perché alimentare la pace, perché amare tutti finanche i nemici, come Gesù insegna? Perché vivere come fratelli? Perché costruire una «civiltà dell’amore» (San Paolo VI), dove ognuno è qualcuno d’amare?
Unificazione tra umano e divino
C’è, dunque, un legame strettissimo, d’interdipendenza e di filiazione, tra la crisi spirituale e la crisi sociale che stiamo vivendo. Pertanto, è decisivo riconsiderare il primato della dimensione spirituale e della vita soprannaturale nell’uomo, non come una sorta di sovrastruttura o di aggiunta alla sua vita naturale, piuttosto come l’espressione della sua vera vita, come la più compiuta trasformazione della sua esistenza nella storia. Non c’è vero ordine sociale se vige il disordine spirituale: attendere che le cose cambino, come per magia, è da sprovveduti. Non può esserci separazione, piuttosto invece unificazione, tra umano e divino, tra naturale e soprannaturale, tra terra e cielo, tra fede e vita, tra amore per se stessi e amore per il prossimo, se vogliamo salutare l’avvento di una “umanità nuova”. Questa “unificazione” si perfeziona e si potenzia in noi, ogni giorno di più, se lo Spirito di Dio si unisce allo spirito dell’uomo, al nostro spirito; se lo spirito dell’uomo si lascia permeare, dinamizzare, fecondare dallo Spirito di Dio. Quando questa “sintesi” non è storicamente data, allora la vita sociale è compromessa nelle sue fondamentali espressioni; e all’uomo risulterà difficile sviluppare la sua personalità ed elevarsi nel compimento del bene, nella comunione e nella condivisione di beni che mai potranno essere solo materiali. In definitiva: o la natura umana si eleva o la natura umana decade; l’uomo scade, cade e ricade nell’egoismo, nell’indifferenza, nella rassegnazione, nel peccato, nel reato. La differenza la fa l’amore! É sempre la nostra capacità di amare, di andare oltre i limiti assegnati dalla caducità e dalla contraddittorietà del nostro essere uomini e umani che farà la differenza. Nell’uomo di oggi, poi, la mancanza di una vera dimensione interiore, trascurata perché ritenuta anacronistica e inutile dalla modernità tecnologica e atea, si fa percepire con nuovi segnali, con fenomeni che vanno considerati attentamente: le nostre società saranno anche più materialmente evolute, ma sono sempre più povere spiritualmente e culturalmente! Quanto sia arduo annunziare questo disegno e al contempo accoglierlo lo attesta san Giovanni, allorquando parla del “primato di Dio” nel cuore dell’uomo e scrive: «Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Essi sono del mondo e insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci conosce. Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità dallo spirito dell’errore» (1 Gv 4, 5-6).
Sintesi tra fede e vita
Io ritengo che non ci sia pericolo peggiore, per la retta coscienza sociale di un popolo, che l’insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare del male. É paradossale che l’insensibilità al male, l’assuefazione ai mali sociali che denigrano la dignità della persona e mortificano il valore della stessa comunità umana, si vadano giustificando con l’idea che sia sinonimo di modernità una vita pubblica moralmente inquinata, in cui è vera libertà l’autonomia da ogni legge morale o da ogni verità, e l’affermarsi del bene individuale su ogni bene oggettivo, sul bene comune. Spetta a noi elaborare una sintesi creativa fra fede e storia, tra fede e cultura, tra fede e carità, tra fede e servizio; una sintesi che trovi il suo fulcro nell’amore naturale vivificato dalla grazia divina e che manifesti il contenuto morale ed etico della nostra fede in Gesù. Sì, della fede: in Dio e negli uomini! Cioè quella fiducia in Dio che si fa fedeltà ai suoi voleri; fedeltà e fiducia che non tradiscono il Dio che si ama se non si tradiscono gli uomini che lo stesso Dio ci chiede primariamente di amare. Non c’è fede in Dio se il patto di fedeltà con Lui non si fa alleanza umana, servizio d’amore, pace fra gli uomini, progresso e sviluppo umano. Scriveva già nel 1944 don Luigi Sturzo, dalla terra di esilio americana, con un punto di osservazione esteso oltre i confini dell’Europa: «La fede manca… Oggi ci troviamo in una società che, pur proclamandosi cristiana (quando lo stesso Cristianesimo non viene rinnegato), in gran parte non lo è più. La fede e l’interesse per la fede sono mancanti e molti non sanno più cosa significhi essere cristiani. La società è impregnata di materialismo; in molte scuole il cristianesimo viene ripudiato in nome della scienza, mentre altri lo considerano una concezione morale ma non una fede dogmatica… E cosa dovremmo dire di quei paesi dove lo spirito anti-religioso ha pervaso la politica, o dove il materialismo del capitalismo ha influenzato la vita pubblica?» (in “Problemi spirituali del nostro tempo”). In polemica con coloro che sostenevano un dualismo fra etica e politica, tra Vangelo e società umana, in definitiva tra “fede e vita”, limitando la “legge dell’amore” alla vita privata e così privandola del suo contenuto pubblico e di servizio al bene comune, don Sturzo scriveva (dall’esilio londinese; era il 1925): «L’amore del prossimo non consiste né nelle parole, né nelle moine: ma nelle opere e nella verità» (“Crociata d’amore” in “Il Cittadino di Brescia”). La storia non può darsi diversamente: solo «amando Dio e il prossimo come se stesso» (cf Lc 12, 30-31), il cristiano entra e si muove nella storia; rimane al servizio degli altri e con gli altri, incarnando la “legge dell’amore”. Così può darsi il passaggio “dall’amore del potere al potere dell’amore”; così il Cristianesimo rimane profezia di un tempo nuovo, che se storicamente è già dato (per qualcuno magari anche datato), è sempre da inverare, rinnovare, inaugurare. L’amore rende pari; l’amore è comunicazione spirituale; l’amore è partecipazione di beni; l’amore è trasformazione della materialità verso la spiritualità; l’amore è affratellamento degli individui che si convertono in persone; l’amore è la condizione fondante del servizio all’uomo.
Un umanesimo a misura d’uomo
Lapidaria l’espressione di Papa Francesco in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale: «Non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale» (Firenze, 10 novembre 2015). A noi spetta di dar corso e vigore a questa missione universale, che è di ordine soprannaturale, perché rimessa nel dinamismo dello Spirito di Dio; una missione “civile”, che si faccia portatrice di un messaggio di riconciliazione, nell’amore e nella giustizia. In fondo è tutto qui il carattere “rivoluzionario” del Cristianesimo: permettere all’amore di vincere! Sempre, ovunque, comunque, perché ogni deficit di amore – ingiustizia contro Dio e contro l’uomo – possa essere colmato, storicamente rimosso, socialmente sanato. Serve un supplemento d’amore, di passione per Dio e per l’uomo da amare! Nel tempo della crisi non può essere in crisi la responsabilità per il futuro dell’uomo. Ancora ci esorta Papa Francesco nella sua Enciclica sociale: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo» (“Laudato si’. Sulla cura della casa comune”, 229). L’umanesimo cristiano è umanesimo “a misura d’uomo”; è principio incomparabile di fraternità umana; è l’espressione più compiuta della difesa e della promozione dell’uomo, della sua dignità integrale e trascendente, dei suoi diritti nativi e naturali. «La principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso», scriveva san Giovanni Paolo II (in “Centesimus annus”, 32). Non l’uomo alienato, ciclostilato, astratto, manipolato, mutilato, catalogato in una o in poche dimensioni, autenticato da una legge o da un reddito, de-spiritualizzato, de-moralizzato, de-culturalizzato; ma l’uomo concreto, nella verità del suo agire e nella trasparenza dei suoi veri affetti e dei suoi naturali bisogni. A partire da quelli spirituali.

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